“Erat autem in loco, ubi crucifixus est, hortus, et in hortum monumentum novum, in quo nondum quisquam positus erat.”

“Ora, nel luogo in cui era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto.”

[Giovanni, XIX, 41]

Nel primo pomeriggio del giorno a.d. XV Kalendas Maias (15 giorni prima delle Calende di Maggio, ovvero il 17 Aprile) i custodes si trovano alle pendici del Golgotha dove hanno convinto il Rabbi Simon, catturato la mattina stessa, ad indicare loro l’ubicazione del sepolcro del Nazareno. Il predicatore ebreo indica malvolentieri un punto dove si trova un piccolo gruppo di donne al quale i membri della Cohors Arcana decidono di approcciarsi dopo aver lasciato indietro Calvus a sorvegliare il Rabbi legato ed imbavagliato.

I custodes, eccetto il sapiente, raggiungono quindi le donne e iniziano a fare loro alcune domande, queste non sembrano sapere di cosa gli inviati di Roma stiano parlando, ma dopo poco risulta evidente che non stiano collaborando e che queste siano delle cristiane. Spazientiti dalla reticenza a collaborare del gruppo di donne, i pretoriani si risolvono ad assumere un atteggiamento più minaccioso che le rende immediatamente più cooperative accompagnandoli in una zona più laterale dove un basso muretto delimita un giardino ben tenuto dove si erge un albero d’ulivo. Davanti alla parete rocciosa retrostante è ben visibile una grande pietra, più o meno tondeggiante, che ha chiaramente la funzione di chiudere un’apertura scavata nel fianco della collina. Davanti a questa pietra sono presenti alcune offerte.

Le donne vengono congedate e viene chiesto loro di avvisare Calvus, lasciato più indietro con il Rabbi, di raggiungere il gruppo. Queste fanno quanto detto loro raccomandando solo ai custodes di non profanare un luogo sacro. Il gruppo quindi si riunisce davanti a quello che ha tutta l’aria di essere il luogo che stavano cercando: il sepolcro del Nazareno. Non resta che spostare il masso che chiude l’ingresso, che sembra essere stato mosso di recente, per continuare l’investigazione, ma fortunatamente i muscoli nel contubernio non mancano ed il compito si rivela molto più semplice del previsto.

Davanti agli occhi dei custodes si rivela un piccolo ambiente scavato nella roccia con un giaciglio vuoto su di un lato. Un’osservazione più attenta rivela che probabilmente sia stato compiuto, di recente, un rituale, c’è infatti nell’aria un leggero odore di zolfo e le tracce di simboli tracciati con il sangue sulle pareti e poi rimossi; nella parete opposta all’entrata del sepolcro è inoltre visibile uno strano segno che la percorre per tutta la sua interezza, come se qualcuno con una punta di metallo avesse inciso la roccia.

I custodes decidono quindi di interrogare gli dei per avere ulteriori informazioni su ciò che è avvenuto all’interno del sepolcro. Mentre Al Sahlahin si prepara ad effettuare un rituale di oraculum, Calvus si avvicina al giaciglio vuoto per dare un’occhiata migliore e verificare che non sia sfuggito niente scoprendo un doppiofondo di legno. All’interno del vano ricoperto dal giaciglio i custodes fanno una scoperta inaspettata, trovano infatti il corpo di un bambino, una sacchetto di cuoio e una punta di lancia. Un’analisi medica rivela che al bambino è stata tagliata la gola e, cosa particolarmente strana, è completamente privo di sangue come se tutta la sua linfa vitale fosse stata prosciugata, infine, sul petto, sono presenti delle incisioni che forse sono state fatte quando era ancora vivo. Nel sacchetto di cuoio sono presenti trenta moneta d’argento evidentemente antiche, su una delle facce è infatti inciso il nome Erode in greco. Un’analisi della punta di lancia invece rivela che questa è di fattura romana risalente ad alcuni secoli prima, almeno a giudicare dai segni del tempo, inoltre Al Sahlahin percepisce una sorta di vibrazione mistica proveniente da essa ed il medaglione dato loro da Azazel ne è respinto. Sembra trattarsi proprio di uno degli obiettivi della loro missione in Giudea, la lancia di Longino.

Dopo il ritrovamento, Al Sahlahin entra in stato di trance iniziando il rituale di oraculum, la domanda che i suoi compagni pongono agli dei è: “Chi è il responsabile del rituale?” e la risposta che viene data è “È il cieco viandante che professa il verbo di Cristo, è il traditore del figlio di Dio, è l’abominio che si nutre della linfa vitale, è colui che apre la porta per gli inferi.”

Interrogandosi sul responso avuto, anche chiedendo al Rabbi Simon, l’unica figura che sembra corrispondere alla descrizione avuta è quella del vecchio Iacob, un anziano predicatore cristiano incontrato il giorno prima fuori dalla mura di Aelia Capitolina da Cattus e Candemium. I custodes liberano quindi il Rabbi e preparano una pira funeraria per bruciare il corpo del bambino secondo l’onoranza funebre romana. Così, all’imbrunire, con le fiamme della pira che divampano riflettendosi sulle armi e le armature degli inviati di Roma, questi volgono le spalle e si dirigono nuovamente verso la città.

Ave atque vale!

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